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Ai sensi della legge 104/1992, alcune categorie di lavoratori hanno diritto ad usufruire di alcune ore e/o giornate di permesso retribuite per prestare assistenza ai familiari disabili.
Chi, durante la giornata di permesso retribuito per assistere il familiare disabile, svolge mansioni non interamente dedicate all’assistenza del familiare di cui sopra, commette un illecito, non soltanto nei riguardi del datore di lavoro (per via della fruizione di un permesso retribuito in maniera non consona agli obiettivi pattuiti dalla legge), ma anche nei confronti del sistema previdenziale nazionale (in quanto, essendogli l’indennità erogata anche dall’INPS, viene a scaricare il costo del proprio abuso sulla collettività). Questo per via del fatto che una simile condotta viene a palesarsi come lesiva della buona fede del datore di lavoro, privando quest’ultimo in maniera ingiusta della prestazione lavorativa. In aggiunta, tale comportamento, oltre a violare l’affidamento che l’azienda ripone sul dipendente, fa sorgere anche una responsabilità penale a carico dell’abusante, che potrebbe sfociare in un procedimento a suo carico per il danno subito dallo Stato (integrando altresì nei confronti dell’INPS una percezione indebita dell’indennità e un utilizzo distorto della prestazione assistenziale).
Ne consegue che può essere legittimamente licenziato il lavoratore che, sfruttando il pretesto dei permessi della legge 104, porta avanti attività personali diverse da quelle di prestare assistenza al familiare per il quale si è chiesto il permesso DL 104. Abusare dei permessi della legge 104 configura, pertanto, una giusta causa di licenziamento. In tali casi, il licenziamento, a causa della gravità della condotta del lavoratore abusante, può essere effettuato anche senza alcun preavviso, poiché si configura appunto il cosiddetto “licenziamento per giusta causa”.
Al riguardo si è pronunciata recentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9217/16 del 6 maggio 2016, nella quale ha statuito che deve considerarsi legittimo il licenziamento di tutti i falsi utilizzatori dei “permessi retribuiti in base alla L.104”, vale a dire dei dipendenti che sfruttano le giornate di assenza dal lavoro prestando assistenza al parente disabile anche soltanto in via parziale, perché indaffarati a svolgere altre attività. La Cassazione ha stabilito, infatti, l’impossibilità di poter svolgere, durante la stessa giornata, altri e diversi compiti rispetto a quelli prefigurati dal diritto per la concessione dei permessi retribuiti, poiché tali comportamenti integrano l’ipotesi di un abuso del diritto.
In conclusione, la legge consente ai datori di lavoro di ricorrere agli investigatori privati anche davanti al solo mero sospetto che i dipendenti possano tenere condotte illecite nel senso di cui sopra. Di ciò ne dà riprova anche la sentenza n. 4984/14 emanata dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, che ha statuito la liceità da parte del datore di lavoro di rivolgersi ad un investigatore privato o ad una agenzia investigativa, a tutela del patrimonio aziendale, per verificare se il dipendente, che usufruisce dei permessi concessi dalla legge 104/1992, stia beneficiando correttamente di un permesso concesso e disciplinato dal diritto, o se piuttosto stia commettendo un illecito a danno del datore di lavoro e della collettività.
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